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Triade Minore di Luigi Ferrari: un inaspettato romanzo con la riscoperta di uno straordinario compositore

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Medtner and Rachmaninof with wifes (1938)

Enrico Votio Del Refettiero

“Triade minore”: un romanzo che vale il recupero di uno straordinario compositore. E non solo …

A Luigi Ferrari devo molto con questo suo libro. Innanzi tutto il fatto che mi abbia fatto tornare la voglia di scrivere per qualcosa di cui valga la pena. Poi la riscoperta di uno straordinario compositore del quale avevo sì sentito parlare ma – confesso – del quale avevo ascoltato pochissimo. E pure il piacere di una lettura serrata, praticamente ininterrotta, dalla prima parola all’ultima di un romanzo che non posso evitare di definire – passatemi la banalità – davvero avvincente. Collateralmente, la vera a propria scoperta di una altro protagonista, anche se minore, della storia della musica di quel periodo davvero cruciale che è stato il primo Novecento, nel quale è successo talmente tanto, che ci siamo potuti permettere di dimenticarci personaggi come Alexei Stanchinsky, morto a soli 26 anni, lasciando una produzione certo non abbondante ma comunque di grandissimo fascino.

Ma andiamo con ordine. La storia si struttura come una sorta di romanzo poliziesco, con alcuni caratteri del racconto fantastico, fitto di “revenant” che tornano dall’aldilà per provare a sanare le ingiustizie della storia. I riferimenti ai personaggi storici sono assolutamente accurati, ancorati a vicende del tutto reali che testimoniano di una conoscenza profonda della storia non solo della musica ma più in generale della cultura del periodo straordinario che attraversa la prima metà del Novecento, il secolo “breve” e se mi posso permettere, pure un po’ maledetto. Un direttore dei programmi radiofonici della BBC gallese, Brynmor Davies, si trova catapultato suo malgrado in una vicenda che vent’anni prima lo aveva condotto sull’orlo della follia: la tragica morte di un suo giovane e valentissimo collaboratore – Iwan Pryce – in un incidente stradale del quale sente di portare la responsabilità. Uno dopo l’altro gli elementi di una vicenda misteriosissima e esoterica si svolgono sotto gli occhi lettore che, come è capitato a me, non può sottrarsi al vortice degli eventi narrati con una sapienza sorprendente per chi, come Luigi Ferrari, è al suo debutto letterario ben oltre la soglia dei sessant’anni. Per chi non lo conoscesse, Luigi Ferrari è stato per un trentennio protagonista – tra i pochi stimabili – della vita musicale italiana e non solo, dal Teatro Comunale di Bologna alla Fondazione Toscanini di Parma, passando per la significativa esperienza del Festival di Wexford, dove ha contribuito con coraggio e intelligenza alla riscoperta di opere ingiustamente dimenticate: sentiremo la sua mancanza.

Non mi addentro nei dettagli della vicenda narrata: mi auguro davvero che i lettori di questo socialblog si precipitino a comprare il libro e quindi non voglio levare loro il piacere della scoperta. Da musicologo mi permetto di indugiare invece sulle figure straordinarie che grazie al romanzo riemergono dalle nebbie della storia, a cominciare proprio da Nikolai Medtner: e dalla sua personale di vicenda, reale ma della quale ignoravo totalmente i dettagli, convien partire. Quella di un singolare triangolo amoroso, che compongono il fratello maggiore – Emilii Medtner, la sua giovane moglie – la violinista Anna Mikhaylovna Bratenskaya – e appunto Nikolai. Di costui è noto soprattutto il rapporto con Sergei Rachmaninoff, con il quale appare in una famosa fotografia del 1938 che ritrae i due compositori e grandi amici in compagnia delle rispettive mogli, Natalia e Anna (vedi foto). Sergei aveva molta stima del più giovane collega – come ben fa ricordare Luigi Ferrari al protagonista del libro – tanto da spingersi a definirlo, lui uomo certo elegante e schivo da ogni espressione enfatica: “il più talentuoso di tutti i compositori contemporanei”. Conosciutolo a Mosca nel 1902 grazie al pianista tedesco Josef Hofmann, gli rimase fedele amico per tutta la vita e sostenne Nikolai Medtner in tutti i modi, arrivando a far pubblicare dalla casa editrice che aveva regalato alle figlie Tatiana e Irina (la TAIR, appunto) la sua unica opera letteraria “Musa e Moda”, un vero memoriale di vita ed estetica. Di Nikolai Medtner conoscevo solo l’esistenza della Sonata “Triad” op. 11, grazie alla registrazione degli anni ’50 della leggendaria Maria Yudina, ripubblicata negli anni ’90 dalla casa discografica russa Vista Vera nell’ambito dell’integrale dedicata alla più geniale e misteriosa pianista russa del ‘900.  Ferrari, attraverso i suoi protagonisti, ci racconta della centralità di questa composizione nella produzione di Medtner, soprattutto per il suo valore autobiografico: la “Traid” è infatti la Triade che dà il nome al romanzo, quella appunto composta da Nikolai, dal fratello maggiore Emilii e dalla compagna, che i due “condividono”, Anna. Ma ci fa riscoprire anche altri dettagli a dir poco rocamboleschi della vicenda artistica e umana del nostro Nikolai, come la miracolosa comparsa dell’ultimo Maharaja di Mysore, che nel 1949 fonda a Londra quella “The Medtner Society” grazie alla quale il compositore ormai “giunto sul passo estremo” (morirà due anni dopo, nel 1951), riuscirà a tramandare ai posteri gran parte della sua opera e nelle migliori condizioni: mirabile ad esempio la registrazione delle splendide “Sette romanze” sui testi di Goethe che nel 1950 lo vede accompagnare nientepopodimeno che la sublime Elisabeth Schwarzkopf per la EMI di Walter Legge. Come il protagonista del romanzo di Ferrari, anch’io non sono riuscito a sottrarmi al fascino di ascolti compulsivi sulla piattaforma You Tube e pertanto di Medtner vi consiglio di non perdere la stupenda Sonata in Sol minore no. 2 op. 22 nella interpretazione inarrivabile del grande Emil Giles (https://www.youtube.com/watch?v=rl-wMyox7QU), che la presentava in concerto a Mosca nel 1954, a testimonianza che in una cerchia di “iniziati” la musica di Medtner era tutt’altro che dimenticata.

Deuteragonista – e in senso letterale – il fratello di Nikolai, Emilii, riemerge dalle tenebre nelle quali lo aveva sprofondato la “damnatio memoriae” seguita suo avvicinamento al nazismo nella Germania dell’inizio degli anni ’30: e d’altra parte poteva difficilmente andare diversamente per un simbolista approdato alla filosofia di Nietzsche. Emilii, vicino al movimento simbolista russo e soprattutto al suo rappresentante di punta, Aleksandr Bloch, ma anche e pure troppo – come emerge dal romanzo di Ferrari – alla di lui moglie, l’attrice Lyuba Mendeleeva, figlia tra l’altro del genio della chimica Dmitri Mendeleev, al quale il mondo deve le famose “Tavole”… Un uomo che conosciamo tramite alcune foto dell’epoca, nelle quali compare sempre con occhi spiritati: spia di una interiorità irrequieta che lo portò a avvicinarsi alla psicanalisi, prima come paziente di Carl Gustav Jung – certo con quello che viveva nel triangolo perverso tra la moglie e il fratello aveva ben ragione di cercar di capire – e poi come traduttore e divulgatore in Russia dell’opera completa del medesimo Jung. Sfortunato il povero Emilii, che vivrà nel perenne complesso della mancanza di riconoscenza da parte di coloro che lui riteneva di aver beneficiato della sua attenzione e del suo aiuto: la lista è lunga e comprende il già citato Aleksandr Bloch, oltre che Carl Jung e soprattutto il fratello Nikolai: che fu l’unico che alla fine una certa riconoscenza gliela mostrò se arrivò a recuperare le spoglie del fratello, morto in Germania nel 1936, per seppellirlo insieme a lui e ad Anna in uno dei cimiteri di Londra, ricomponendo così la “Triade”, questa volta per l’eternità. Il tema della memoria – e soprattutto la memoria negata – è senza dubbio la chiave di volta del romanzo, la molla che spinge i protagonisti dell’aldiquà e dell’aldilà a ritrovarsi e ad interagire. “Senza di me non potete fare nulla”, sembra gridare Emilii dalla sua urna, e il motto è inciso sulla lapide della tomba, parafrasi del Vangelo di Giovanni ma anche chiusa emblematica di “Triade Minore”. Grazie, Luigi Ferrari, grazie davvero.

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