James Ensor, LO STUPORE DEL MASCHERO WOUSE
Francesca Avanzini
LO STUPORE DEL MASCHERO WOUSE
Ecco, in mancanza di fonti più autorevoli a immediata disposizione, qualche definizione tratta da Wikipedia riguardo l’opera del pittore LO STUPORE DEL MASCHERO WOUSE. Si parla di: “trasfigurazione della realtà…” E più avanti: “Appaiono elementi inquietanti come maschere, scheletri, pagliacci, usati per mettere in satira il mondo borghese. L’antica immagine della morte si nasconde dietro maschere spaventose.
La vena grottesca oscilla tra ironia e inquietudine, in una specie di incubo in cui sogno e realtà si confondono, anticipando il Surrealismo.
Ritraendo gli individui come pagliacci o scheletri, o sostituendo le loro facce con maschere di Carnevale, rappresenta l’umanità come stupida, vana e ripugnante.”
Tutto ciò si attaglia perfettamente al romanzo di Massimo Giuffredi intitolato, come un quadro di Ensor, “Lo stupore del maschero Wouse”. In copertina è riportato il detto quadro, dove qualcuno con indosso una maschera contempla dei bambini morti, episodio peraltro ricalcato all’interno del libro.

Il Carnevale, con il suo simbolo più rappresentativo, la maschera, è da sempre legato alla morte e alla libera circolazione degli spiriti tra sotto e sopra, all’abolizione di ogni barriera. Maschere come Arlecchino e Pulcinella hanno notoriamente origini infere e diaboliche. Anche nel romanzo di Giuffredi i confini sono eliminati, i morti (forse) circolano liberamente, mentre, con logica onirica, dato reale e fantasia si mischiano e fanno la loro apparizione personaggi resuscitati dal passato dell’autore o da quello collettivo insieme a maghi come Prospero o il mago di Trinacria. Il romanzo potrebbe anche vedersi come le vicissitudini di un’anima che deve affrontare il suo percorso per distaccarsi dal corpo, e passa, come nel viaggio dantesco, o in quello di Ulisse, attraverso varie tappe, in realtà assai picaresche, ricordando al contempo, in un flash all’indietro, tutta la vita passata. Scorrono le pietre miliari di una vita, ma il tutto è intinto nell’ironia, intesa come distacco, distanziamento, rifiuto di prendere alcunché sul serio, che tanto non ne vale la pena. Se dovesse avere un altro titolo, il romanzo potrebbe chiamarsi “La primula rossa”. Come una seppia che intorbida le acque per celarsi e non farsi prendere, il protagonista è inafferrabile, appena si pensa di poterlo collocare in una categoria, in una tipologia, è già sguizzato via. Ma c’è qualcosa di altrettanto inafferrabile, o che non vale la pena, ed è la realtà. Le cose sfuggono di mano, si accartocciano, si ribaltano, impossibile prenderle sul serio. Alla base c’è uno scacco, esistenziale, una disillusione. L’ironia nasconde forse l’angoscia, un punto dolente e pulsante che non si vuole toccare. Vengono in mente i versi di Dorothy Parker: “I rasoi fanno male, i fiumi sono freddi, l’acido lascia tracce, le droghe danno i crampi, le pistole sono illegali, i cappi cedono, il gas ha un odore nauseabondo… Tanto vale vivere.”
E se la vita è una farsa, ecco un altro buon motivo per mascherarsi.
Forse l’oggetto ultimo da tenere a bada è proprio la morte, la cui rivelazione stupisce il maschero Wouse. Da qui il tentativo continuo di eluderla, dilazionarla, metterla alla berlina. Insieme al protagonista, il lettore è accompagnato per mano in una serie di vicoli ciechi, spunti non portati a termine, false piste, come in quei labirinti scolpiti sulle porte degli antichi palazzi per confondere gli spiriti che volessero entrare.
Scherzo, divertissement, nonsense, grottesco, comicità crassa, espedienti retorici come l’iperbole sono tutte le declinazioni dell’ironia con cui si tiene a bada e si blandisce la realtà ultima, il nemico. E, attenzione, spesso di ghigna o si ride a tutto spiano.
Difficile collocare il romanzo in un genere, ma se a qualcosa dobbiamo apparentarlo, allora è a certe sperimentazioni dadaiste o surrealiste, che scardinano il linguaggio e lo status quo.
Ed ecco infine, per sommi capi, la trama: Un tizio torna a casa e trova un cadavere nel suo letto. Ricorrendo a testi di medicina, cerca di stabilire se l’uomo sia davvero morto. Convintosi di sì, si libera del cadavere buttandolo in un fiume legato a un’incudine. Trovato nelle tasche del morto il biglietto di un ristorante cinese, si reca là per reperire qualche notizia in più, ma senza esito. Tornato a casa, gli appare il mago Prospero che gli suggerisce di cercarne la carta d’identità. Trovatala, questa lo porta in Via Giulio Cesare 12, dove trova un uomo uguale al cadavere e la di lui moglie o sedicente tale. Di nuovo a casa l’on. Schietroma, democristiano, uscito dal frigorifero, gli impone di scrivere un’autobiografia, ma il protagonista, iniziati i primi capitoli, si arena. Convintosi della necessità di tornare in Via Giulio Cesare, si traveste da donna e indossa una maschera, e nel raggiungere la casa si imbatte in una serie di personaggi e situazioni. Una volta giunto alla casa, è perseguitato da un corteo di maschere uscite dal nulla e costretto a buttarsi da una finestra. Incontrati altri personaggi e situazioni, il tizio è di nuovo a casa, e dopo un sonno ristoratore e un’altra incursione nella casa, è visitato di nuovo dal mago Prospero che brucia tutte le sue opere. Dopo aver ricordato un viaggio in Romania e altre circostanze del suo passato, l’uomo si stende sullo stesso letto in cui ha trovato il cadavere.
Il romanzo verrà presentato venerdì 17 marzo alle h17.30 presso l’APE MUSEO di Via Farini 32.
Lo stupore del maschero Wouse, MUP, euro 16 pag. 217