Il fallimento della Dad
Giuseppe De Filippo
Il fallimento della Dad
Tra incremento di burocrazia, discriminazione e derealizzazione
Prima della pandemia da Covid-19, per gli insegnanti più attivi era come viaggiare a bordo di una autovettura di grossa cilindrata. Beninteso, lungo i percorsi tracciati dalla Buona scuola, tale soltanto in ragione dell’abusiva aggettivazione. Costretti dalla attuale pandemia a transitare lungo quelle strade a bordo della economica e malfunzionante utilitaria denominata Dad, le prestazioni degli insegnanti, anche di quelli più attivi, si sono contro ogni attesa abbassate fino a raggiungere un livello scoraggiante. È questa la consapevolezza più evidente cui tutti, meno pochi che non vogliono guardare in faccia alla realtà, si è pervenuti: di potere soltanto coprire brevissimi tragitti, e a passo di lumaca. Prevarranno diversamente affaticamento, collasso meccanico del mezzo, senso di frustrazione: per avere triplicato l’impegno senza ottenere risultati apprezzabili.
A questo, bisogna aggiungere i moltiplicati logoranti adempimenti burocratici, appesantiti dello stress causato dall’improvviso obbligo di adeguamento a nuove realtà operative di fronte alle quali la Scuola si è trovata, comprensibilmente, impreparata. Senza qui dimenticare i macchinosi accertamenti (finalizzati alle osannate valutazioni e certificazioni, cui nulla sembra dover sfuggire) e l’invito a mantenere vivo il contatto emotivo con il discente. Domanda: si tratta di una richiesta formale o sostanziale? A quale pro mantenere, questo nobile contatto, se poi l’emotività non è contemplata come criterio di valutazione? E se eventualmente venisse in mente il desiderio di certificarla, come porla di fronte all’imperante oggettivismo docimologico verso il quale la didattica a distanza sembra cozzare con il suo portato di soggettivismo, frammentarietà, contraddizioni?
I tanti nodi che stanno venendo al pettine, gli insegnanti avrebbero potuto scorgerli anzitempo, metterli in evidenza, se alla forsennata celerità produttiva, imposta da una scuola azienda, avessero risposto con riflessioni critico-pedagogiche e con una rigorosa lentezza antiaziendalistica, se è vero che la Scuola e l’azienda sono realtà ontologicamente diverse.
Riflessione, lentezza, semplificazione: categorie più che mai necessarie in questo così particolare momento. Pensare di poter procedere rapidamente e copiosamente, con al seguito questionari, griglie, descrittori confezionati per l’emergenza, abilità, conoscenze e competenze, anche digitali, tutto da rendicontare, testimonia davvero uno scarso senso della realtà. L’insegnante, che nell’emergenza gestisce duecento e più alunni a distanza e che ai fini della valutazione finale deve soddisfare per ciascuno di loro un minimo di cinque descrittori, codesto insegnante si troverà ad amministrare un numero di mille dati, con l’aggiunta di altrettanti elaborati pratico-operativi eseguiti durante il trimestre Dad fuori dal suo controllo. Le discipline laboratoriali, tranne che non si voglia snaturarle facendo di esse altro, escludono a priori la distanza tra discente e docente, la quale suona come una reciproca sparizione. La mano e la mente del maestro devono concretamente e misuratamente guidare la mano e la mente del discepolo: ma questa è un’altra storia che appartiene al passato tempo della cultura e dell’arte, quando la Scuola era la Bottega, e giammai un’azienda!
Non riesco a capire come l’enorme numero di dati da registrare, la grande quantità di elaborati da giudicare, non mettano in seria apprensione chi sente l’obbligo di governare un simile insieme con qualche serietà e precisione. Questa smania di dover sempre e comunque valutare, come per un partito preso, anche in una fase di così grave e inaspettata emergenza, quasi che niente fosse avvenuto (quando invece è in atto un disastro economico, emotivo e sociale, un vero e proprio sconquasso all’interno di molte famiglie: ivi compresa la giornaliera maratona della Dad), è francamente incomprensibile e si pone fuori da una realtà che ha costretto e costringe tutti, nessuno escluso, a profondissimi cambiamenti nelle abitudini della vita quotidiana, nei ritmi della vita quotidiana, nel profondo della sensibilità di ciascun individuo.
Gli interventi didattici, bisogna riconoscerlo, hanno superato in velocità quelli sanitari. Con la stessa tempestività bisogna capire che sottoporre a valutazione il lavoro svolto dagli alunni, durante questa maratona, più che inopportuno è inutile. Più che inopportuno e inutile, è suscettibile di essere un metodo discriminatorio nei confronti degli alunni che, per ragioni diverse, non hanno potuto valersi della guida genitoriale. Altrettanto dicasi per l’elaborato finale da esporre oralmente, proprio perché scritto dall’alunno nella sua casa e fuori dal controllo diretto e materiale dei docenti, nulla può garantire circa la piena genuinità del contenuto. Come assicurare, in un simile scenario di oggettive difficoltà e complicazioni, una qualche accettabile esattezza di giudizio? All’esaminatore che si troverà di fronte una riedizione di un copia-incolla, e scelte tematiche altisonanti, al di sopra delle effettive capacità dell’alunno, molto probabilmente verrà memo la necessaria serenità per una valutazione oggettiva. Io credo si sia partiti velocemente e trionfalmente per approdare in un non luogo (didattico, metodologico, docimologico).
Chissà cosa ha spinto l’istituzione scolastica verso questa decisione di correre: il panico? L’inconsapevolezza? La smania digitale? Una tragica improvvisazione? La Dad, così come imposta dall’alto, per lo più con un sovraccarico di burocrazia per gli insegnanti, contiene in sé i germi per un depauperamento antropologico, soprattutto se prolungata nel tempo. Non è possibile essere così tanto invasati dell’istruzionismo e dal burocratismo da non sapere riconoscere che l’Aula e lo schermo non sono elementi interscambiabili, e che non possono, per questa stessa ragione, contenere indifferentemente i medesimi “valori”. Non è possibile far consistere il passaggio dalla didattica normale, a quella dettata dall’emergenza nel puro e semplice travaso della prima nella seconda. Così malamente intesa, la Dad penalizzerebbe nel lungo periodo soprattutto i bambini e i preadolescenti bisognosi di un particolare abbraccio didattico-pedagogico in ragione del quale la tridimensionalità dell’atto formativo e dell’Aula non sono in nessuna misura sostituibili con il monitor.
Sono in molti, tra famiglie, alunni, docenti, a lamentarsi di questo artificioso e febbrile equivoco. Al rallentamento generale dell’intera vita umana, la Dad ha paradossalmente contrapposto la sua azione invasiva, quasi a volersi associare alla pervasività perniciosa del coronavirus. Non a caso i genitori sono preoccupati. Chi esulta al nuovo miracolo della tele presenza, della video lezione, avrebbe l’obbligo di chiedersi se la didattica a distanza inficerà o meno l’espressione e l’emozione del discente; se, cosa più grave, non comprometterà nel lungo periodo anche la “felicità” di apprendere e di esistere dell’alunno, considerata anche la sua età scolare. I volti degli alunni tra gli 11 e i 13 anni non sono già gli stessi che gli insegnanti avevano conosciuto durante le lezioni “faccia a faccia”, dal “vivo”, nel vitale spazio della classe, che è “casa” tridimensionale. Dallo schermo bidimensionale trapelano smarrimento e insicurezza, facce come da foto tessere sbiadite e visibili a intermittenza, causa anche la talvolta cattiva connessione internet. È bastato un attimo perché discenti e docenti da soggetti a distanza intima diventassero tele soggetti di una perenne inquadratura fissa: un “fermo immagine” senza possibilità sceniche.
Bisogna chiedersi se il passaggio dell’esperienza educativa, dalla sua imprescindibile plasticità percettiva all’attuale sua piattezza sensoriale, incrementata dallo schermo, non procuri nel lungo periodo effetti di derealizzazione e di impoverimento conoscitivo; chiedersi se la didattica a distanza non aumenti nel preadolescente, nativo digitale e cittadino di una società di per sé già abbastanza liquida, la sua propensione a non discernere il virtuale dal reale. Gli specialisti ci dicono che: “Il soggetto derealizzato percepisce l’ambiente circostante come irreale, sconosciuto o insolito e manifesta una sensazione soggettiva di non-appartenenza a ciò che fa o dice”. L’OMS, basandosi su un campione di oltre duecentomila studenti, di età scolare tra gli 11, i 13 e i 15 anni, provenienti da “45 paesi d’Europa e del Canada”, ha manifestato preoccupazioni per la loro salute mentale: “(…) Gruppi specifici di popolazione sono particolarmente a rischio di stress psicologico correlato al Covid ….Anche i bambini e gli adolescenti sono a rischio. I genitori in Italia e in Spagna hanno riferito che i loro figli hanno avuto difficoltà a concentrarsi, così come irritabilità, irrequietezza e nervosismo.” (http://www.rainews.it/)
Giuseppe De Filippo