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Riflessioni sul Vangelo di don Umberto Cocconi: L’amore respinto continua ad amare, il Dio rifiutato si fa ancora guarigione per tutti.

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Don Umberto Cocconi

Gesù Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando (Vangelo secondo Marco).
Gesù non lascia indifferente i suoi ascoltatori, le sue parole provocano stupore e interrogativi. Intorno a lui
molte domande e l’evangelista Marco ne registra cinque: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza
è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il
figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da
noi?».
Il profeta è straniero in patria perché le sue parole vengono da un altro mondo. Allora si apre il conflitto tra
Nazareth e questo “altrove”, tra il quotidiano e l’oltre. «Livelliamo tutto verso il basso: è solo un falegname,
è il fratello di Ioses, lo conosco bene, conosco i suoi difetti uno per uno. Di un uomo cogliamo solo la linea
d’ombra, e così ci precludiamo lo splendore di epifania del quotidiano, l’eterno che si insinua nell’istante e
nella creatura» (Ermes Ronchi). Siamo avvolti dal disincanto, e in un certo senso pure noi facciamo parte di
coloro che “tagliano le gambe”, come ebbe un giorno a dire il vescovo Benito Cocchi: «Parma ama due sport
fondamentali quello di impallinare e dopo qualche decennio di imbalsamare. Ecco perché a Parma è così
difficile che emergano dei grandi leader, non è un caso che personalità illustri di origine parmigiana
fioriscano lontano dalla città». Non saremo forse anche noi come gli abitanti di Nazareth nei confronti dei
nostri cittadini illustri? Non speriamo nulla e dunque non attendiamo nessuno. Il nostro è un atteggiamento
che non riesce a immaginare che dal quotidiano, dall’altro che ci è familiare, da colui che conosciamo, possa
scaturire per noi una parola veramente di Dio. Non abbiamo molta fiducia nell’altro, in particolare se lo
conosciamo da vicino, mentre siamo sempre pronti a credere allo “straordinario”, a qualcuno che si impone.
Dunque che cosa pretende, che cosa vuole questo Gesù? Perché dovrebbe essere “altro”? Sì, Gesù era un
uomo come gli altri, si presentava senza tratti straordinari, appariva fragile come ogni essere umano. Gli
abitanti di Nazareth stanno dicendo una verità inconfutabile quando affermano che Gesù è “troppo
umano”. Ma se non c’è in Lui nulla di “straordinario”, come poterlo accogliere? Quel ritorno al villaggio
natale è stato un fallimento. Proprio chi pretendeva di conoscerlo, in quanto concittadino, vicino o parente,
giunge a disprezzarlo. Gesù “si stupisce della loro mancanza di fede” e tuttavia non demorde: continua la
sua missione andando altrove, sempre predicando e operando il bene. L’amore non è stanco, non nutre
rancori. Dio, in Gesù, ha deciso di farsi compagnia del suo popolo, ha deciso di essere nel quotidiano di
ciascuno.
 
 
 
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