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AUTORI DI NULLA

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No, non penso questo. Quello che voglio dire è che non abbiamo alcun bisogno dell’identità. E’ un concetto fittizio, strumentale, di cui dobbiamo sbarazzarci. E non solo per quel che riguarda la razza, ma anche la cultura. Ogni cultura è frutto di una serie infinita di meticciati ed è in continua trasformazione, non può risolversi in un’identità. E’ questo che le minoranze dovrebbero sbattere in faccia a chi – in nome dell’identità – le vuole schiacciare! Non difendersi con le stesse armi di chi le opprime! Fin dal suo emergere come potere colonialista, il capitalismo occidentale si è caratterizzato per questa assegnazione di identità e gerarchizzazione delle culture. E vedi… il guaio è che è riuscito a imporre lo stesso modo di pensare anche agli altri. La verità fin troppo banale è che chiunque – al di là della pigmentazione della pelle, della cultura, della religione, delle attitudini sessuali eccetera – va tutelato nella libertà di essere quello che gli pare. Ma l’ideologia vuole costringerci a sentirci tutti "appartenenti" a identità predefinite. Assecondare questo gioco significa lasciarsi dominare. Il modo migliore di fottere le potenzialità di cambiamento è vincolare la gente al senso di appartenenza – e possibilmente lasciarle solo quello – così da osteggiare il meticciato, l’incontro con persone diverse, quindi il cambiamento e l’arricchimento reciproco… insomma, le cose interessanti della vita. Su questo i reazionari occidentali – tanto di destra quanto di sinistra – si trovano in perfetto accordo con gli integralisti islamici, cioè i fascisti arabi. Sono le due facce della stessa medaglia. […]
In un’America trasformata dalla barriera che la separa dal resto del mondo, un’America di città-stato indipendenti, Ben Rackey, protagonista del romanzo di Shirley, naviga come dentro una rete telematica assumendo identità diverse nei differenti nodi. E’ d’altronde la situazione dell’individuo contemporaneo, quella di insufficienza di una singola dimensione identitaria e della ricerca, dentro e fuori di sé, di altri ii. Bateson ci parla di una mente come aggregato di parti interagenti che non sono altro che frammenti della nostra identità, altre nostre identità. Del resto, l’identità si definisce sempre in rapporto a qualcosa di altro rispetto al sé, nella modernità al dominio istituzionale di Stato e capitale. Oggi di fronte alla deistitu-zionalizzazione che in realtà altro non è che un proliferare di istituzioni mutanti – è evidente che l’identità singola non basta più, è per un certo verso un retaggio del passato, un freno al libero dispiegarsi delle soggettività. […]
Tutte le volte che è necessario, tutte le volte che ci sentiamo un altro, che ci troviamo di fronte a una distanza che non ci appartiene, che condividiamo un libro, un film, un fumetto, dobbiamo poter dire: «L’ho fatto io! E’ mio!». Si tratta di una battaglia consapevolmente avvinghiata a quella contro il Copyright. E’ infatti ormai evidente che tutta la produzione testuale (in senso lato, semiologico) non è altro, né può essere altro, che frutto di incroci intertestuali, di sintesi fra differenti prodotti culturali, di operazioni semiurgiche; e che non possiamo più pretendere di dirci «autori» di nulla, proprio perché siamo autori di tutto. Badate, non sto parlando di quella ignobile barbarie estetica che qualcuno si ostina ancora a chiamare col nome di Arte, sto parlando di processi materiali di produzione di ricchezza, che passano ormai per i processi di concatenazione simbolica e che, slegati da qualsiasi logica di valorizzazione classica, mi fanno chiedere per me medesimo (quindi per tutti) un reddito di sussistenza e di lusso.

Luther Blisset
"Mind invaders"

SOKRATES n°7– 17 Aprile 1996

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