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PARMA: RICERCA E FUTURO
Montezemolo: "I freni all’innovazione e le barriere burocratiche finiscono per premiare i più furbi e i meno onesti, invece che i più bravi e i più innovativi".
Ecco, vorrei conoscere quelle città illuminate, quei centri di potere dove non è prevalsa la logica delle idiote barriere!
A Parma, ad esempio, non esiste una filiera autonoma di economia delle conoscenze, così come invece per quella manifatturiera e di servizi da terziario ormai arretrato. Quale processo economico innovativo, proiettato al futuro ha saputo generare l’attuale catena riproduttiva locale? Questa classe dirigente continua a foraggiare economicamente realtà non più strategiche, in declino che rappresentano il mondo dell’archeologia industriale, un’economia nostalgica e celebrativa che ricopre già ora una funzione marginale, immaginiamoci tra venti anni!
Se le risorse che queste economie al tramonto hanno generato e generano, non vanno a finanziare le filiere del futuro sarà una regressione progressiva, come la è stata, anche se non avvertita, dalla fine degli anni ’80 ad oggi. Così ognuno oggi è più povero e potenzialmente precario se non inutile.
Da operatore culturale ho sempre sostenuto la necessità di creare condizioni favorevoli alla società delle conoscenze, invito non certo ascoltato e praticato dalla classe dirigente, anzi!…responsabile di questo attuale declino culturale e che ha preferito rivolgere risorse verso una realtà, basata principalmente su economie con poco futuro e con lavori spesso brainless. Un futuro di nicchia, se ci sarà, non certo strategico. Ancora oggi si sperperano risorse in demagogici Festival…
Si chiede coraggio imprenditoriale!! Ma quale responsabile imprenditore delle nuove frontiere rischierebbe proprie risorse in questo contesto? Forse sceglie Parma come luogo per un prepensionamento a misura d’uomo!
Poco infatti, credo, sia stato fatto per sviluppare l’innovazione digitale, l’economia delle conoscenze e una politica rivolta ai giovani in grado di consentire loro di intravedere, in questa accelerazione tecnico scientifica, un progetto per il loro presente e per il loro futuro, che non è né nei caseifici, né nei salumifici, né negli pseudo uffici ripiegati sul nulla, né nel terziario arretrato, né in inutili e costosi ruoli funzionariali in palazzi storici o in quelli futuristi. Second life non è solo immaginario, come invece si vorrebbe far credere!
Questa economia ha perso il suo potenziale e vive di rendita. Proviamo a comparare la qualità dei PIL prodotto e non solo la quantità! E’ la qualità del PIL che genera il nuovo contesto della comunità. Questa città in cui si celebra il centenario di fondazione della SIPS (Società Italiana del Progresso delle Scienze) sembra aver dimenticato questo ruolo, fa fatica a adottare le nuove culture che si sono diffuse nel mondo: forse perché destabilizzano l’esistente e la tipologia del cibo animale poi non aiuta né la mente, né il cuore.
D’altra parte è l’innovazione della tecnica che determina i cambiamenti dei luoghi. Chicago la Porkopolis d’America, un po’ come Parma per l’Italia (anche se qui, per creatività finanziaria, primeggiava il muggito al grugnito), il nodo della rete ferroviaria produsse le Stock Yards e il primato su Cincinnati, ma l’invenzione dell’elettricità, ne decretò la chiusura (Marco D’Eramo: Il maiale e il grattacielo).
Non partecipare alle dinamiche evolutive della ricerca scientifica significa oggi divenire colonizzati, consumatori arretrati di saperi d’altri. Se formaggi e salumi costituivano prodotti di valore economico negli anni 60/70 e parte degli ‘80, oggi sono rappresentanti di economie arretrate, spesso eticamente insostenibili, non più in linea con gli stili di vita che la rivoluzione digitale, le scienze biotecnologiche, le nanotecnologie, il nuovo mondo universalmente connesso, la nuova scienza alimentare stanno producendo.
Innovazione, Innovazione, Innovazione… sostenevo in un mio articolo del ‘2005. Anche nella classe dirigente, soprattutto, per coloro che per funzione pubblica devono creare i presupposti che generano il contesto. Occorrono persone capaci di traghettare economie e dare ai luoghi nuove visioni e nuovi orizzonti…soprattutto liberazione dalle prigioni culturali e oligarchiche. Cosa contraria è il tradimento della funzione pubblica. Penso che l’Italia possa contare il primato del Parlamento più anziano dell’Occidente e in particolare nei luoghi di comando. La domanda da porci è: o i giovani sono degli incapaci o il sistema produce se stesso! Propendo per la seconda ipotesi. Credo invece che il ricambio della classe dirigente sia fortemente ostacolato. Insomma sarebbe come trovarsi su un Boeing gestito da taxisti. I luoghi di comando devono rinnovarsi per non sclerotizzarsi, sopravvivere nel clientelismo e produrre di fatto una regressione sociale.
Innovare è un modo di vivere e convivere, un concetto culturale prima ancora che commerciale o di processo. Non si innova comprando tecnologie, ma mutando la visione, la qualità dei referenti e allora sì che il contesto assume una dinamica virtuosa, di traino e partecipata. Chi è stato al potere può sempre svolgere il ruolo del saggio!… di cui tanto bisogno ci sarebbe anziché di mezzibusti incollati alla poltrona.
Ma ritornando alla Ricerca, dove sono oggi i parchi tecnologici? Quanto investono le Fondazioni in ricerca o progettualità futura? Qual è la quota che le aziende destinano in ricerca annualmente, quanto vi contribuiscono, quanto investono in formazione, reale!! Qual è l’attenzione riposta dalla P.A. al cambiamento culturale, alle spinte innovative? Quali iniziative per il coinvolgimento in rete, partecipativo consultivo popolare e sulla trasparenza gestionale amministrativa, sulla valorizzazione della persona? Qual è stato il contributo al sostegno dell’economia delle conoscenze? Qual è il programma di ricerca universitaria? E’ prioritario alla didattica? Quale rapporto tra Università e impresa per la ricerca applicata? Qual è la reale volontà collettiva per il cambiamento, per l’espressione delle potenzialità individuali? Quando e quanto i partiti sono più vicini alla meritocrazia piuttosto che al regime partitocratico? Dove è un tavolo consultivo di lavoro, aperto e partecipato sulle scienze che sappia coinvolgere gli abitanti, che abbia come obiettivo di dare loro i nuovi orizzonti della città delle conoscenze? Dove è un luogo di discussione e di partecipazione al nuovo pensiero e sulle nuove modalità economiche, di comunicazione, di convivenza, una risposta a un contesto che chiede cosa fare nella vita! Risposte oggi inevase e che i sistemi complessi di convivenza invece richiedono.
Ma chi dovrebbe finanziare poi progetti di fattibilità per lo sviluppo di filiere economiche delle conoscenze, traghettare e convertire al nuovo le economie tradizionali industriali? L’Università ha i saperi, ma non le risorse. Le Amministrazioni? Troppo impegnate nella gestione urbanistica, negli appalti infrastrutturali, per il resto non tengono dinero, nè il pensiero! La Provincia? Dipende dalla Regione! La Camera di Commercio? Non le compete! Le associazioni di categoria? Troppo impegnate a mantenere il potere e consolidare i loro clientelismi? Le Fondazioni? Impegnate nel decorativismo ambientale, storico, sociale e ad assecondare i desideri dei potenti di turno! Insomma nessuno. Si chiedono finanziamenti pubblici, strutturali, un investimento nell’hardware senza software; si spera che da fuori qualcuno miracolosamente venga ad insediare generatori di ricchezza già pronti da usare, ingraziandoseli magari con astuzie ammaliatrici seduttive: la chiamano competitività territoriale!
Credo che il nuovo corso politico, depurato dalle caste di ogni ordine e grado, dovrebbe essere caratterizzato da una necessaria scossa etica e da una politica indirizzata all’innovazione poiché il Paese e i molti contesti locali sono già fortemente in ritardo.
Quale città della cultura e delle scienze, ad esempio, sarebbe stata oggi Parma se si fosse creduto nel progetto digitale, se avesse investito e creato una filiera economica delle conoscenze, sullo sviluppo della rete e del pensiero connettivo urbano, se fosse decollato il progetto del Parco Scientifico Tecnologico? Invece si andrà a ruota di altri! Perché coltivare qui qualcosa quando si può comprare fuori dopo? E si lascia così che le potenzialità locali muoiano, che i saperi si deprimano o si adattino alla decadente e non certo strategica economia locale! Come si potrebbe definire una classe dirigente che oggi si riempie la bocca dell’innovazione digitale e non ha fatto nulla, anzi si è adoperata per impedirne lo sviluppo?
–Perché valori di innovazione collettiva sono stati brutalmente e senza ragione boicottati? Cosa si aspetta a cambiar registro? Il Collasso?
–Perché non si torna alle pratiche virtuose dell’ascolto e della meritocrazia?
-Perché non si dà vita a filiere dell’economia delle conoscenze?
-Perché non si riprende CIBIONTE (dall’omonimo libro di Joel De Rosnay) l’idea di una fiera internazionale della innovazione e della ricerca scientifica?
-Perché non si ripensa a DIGITALCITY, la Biennale di Cybercultura, l’abbandonato progetto culturale internazionale, del pensiero cyber e della frontiera digitale, che trovò la partecipazione e la adesione di studiosi e operatori del digitale da tutto il mondo nella sua 1^edizione del 1999?
-Perché non si dà vita a incontri periodici sul futuro, anche in videoconferenza, con scienziati, letterati, filosofi, artisti, agevolare e rendere interattivi con loro gli abitanti, i giovani, gli operatori culturali e di tutto questo non ne facciamo una editoria digitale in rete, distribuita?
Per ora si preferisce essere una città di transito, investire in buchi di bilancio prodotti da gnigognago con iper remunerati sovrintendenti, agenti monegaschi e maestri d’orchestra mentre i professori d’orchestra continuano a suonare nel precariato.
Luigi Boschi
Caro Luigi,
anche su questo tema siamo perfettamente d’accordo!
Infatti stiamo procedendo ad una riconversione del patrimonio comunale che non appare più strategico per il futuro della città e convogliarlo verso obiettivi e realizzazioni più consone allo sviluppo che auspichiamo per Parma.
La dismissione di quote Enìa o la cessione di AMNU consentiranno, ad esempio, di impegnare ingenti somme finanziarie verso settori quali la ricerca applicata,
la logistica, le Fiere di Parma, ed altro ancora, che appaiono strumenti più idonei a creare qualche filiera del sapere e delle conoscenze aventi una indiscussa influenza e ricaduta sull’economia del territorio.
Naturalmente abbiamo già elaborato, e stiamo elaborando, progetti in tal senso cercando di coinvolgere le realtà istituzionali, scientifiche ed economiche del territorio
che sembrano ben disposte a compiere un percorso, come si dice "di sistema".
Grato per i tuoi suggerimenti, Ti saluto cordialmente.
Paolo Buzzi