Cani bruciati, la polemica continua e i turisti boicottano la Sardegna
Centinaia di e-mail alla redazione di SassariNotizie
(sassarinotizie.com) SASSARI. La provocazione del consigliere regionale Gianfranco Bardanzellu, che proponeva di bruciare i cani per risolvere il problema del randagismo, ritorna prepotentemente in agenda cinque giorni dopo la diffusione della notizia. Da allora è successo di tutto: le parole di Bardanzellu sono state riprese dai media internazionali. SassariNotizie continua a ricevere ogni giorno decine di e-mail provenienti da tutto il mondo (Australia, Svizzera, Germania, Austria, Stati Uniti, Portogallo, Macedonia, per citarne solo alcuni). Fin qui niente di strano: i toni utilizzati da Bardanzellu non potevano che scatenare una reazione di queste proporzioni. Ma su internet sta girando una petizione per il boicottaggio del tursimo in Sardegna perché considerata terra che maltratta gli animali.
Boicottare il turismo in Sardegna? Ve ne proponiamo una per tutte: è firmata da Tamara Pfiffner, una svizzera che da 8 anni trascorre le vacanze a San Teodoro con la propria famiglia, ma nel momento in cui ha ricevuto via facebook il testo della petizione on line, ha deciso di non venire più e di convincere gli amici a fare altrettanto. «La Sardegna è davvero un bel posto- scrive Tamara- ma il modo in cui trattate gli animali ci fa fare cattivi pensieri sulla Sardegna. C’è un solo modo per ridurre il numero degli animali, la castrazione!».
Cane bruciato vivo a Olbia. E mentre la polemica non accenna a diminuire, oggi le pagine dei giornali riportano una notizia che potrebbe contribuire a far proseguire le proteste: a Olbia un cane di razza yorkshire è stato bruciato vivo e ritrovato in via Labriola. Non è detto che l’episodio sia collegato alla provocazione di Bardanzellu, però la coincidenza temporale è indubbia.
La posizione dei veterinari. Nel frattempo, i veterinari invitano i rappresentanti della categoria a non assumere posizioni emotive. Il Sindacato italiano dei veterinari liberi professionisti scrive:
«Le recenti prese di posizione sul problema del randagismo non stupiscono il Sindacato Italiano dei Veterinari Liberi professionisti (SIVELP). Pur con il pieno rispetto e stima per i nobili sentimenti di chi ama gli animali, il Sindacato ha più volte invitato la categoria a non portarsi su posizioni esclusivamente emotive, se non, – talvolta – di pura convenienza mediatica. Qualche giorno fa, a fronte di una richiesta di AIDAA di intervento dei veterinari dell’esercito, per fronteggiare il randagismo, ci trovammo a confutare le posizioni degli animalisti, affermando che, forse ignoravano che il numero attuale di questi veterinari è di poche decine, per lo più senza esperienza diretta in clinica e chirurgia dei piccoli animali. Ci sono viceversa quasi 20.000 veterinari liberi professionisti in Italia, attrezzati e preparati, che potrebbero intervenire con competenza, a costi decisamente più favorevoli di quelli dei dipendenti pubblici; ricordiamo che parliamo di spese a carico dei cittadini.
Riguardo alla re-immissione nell’ambiente il SIVeLP ricorda che l’esperienza delle colonie feline, con gatti sterilizzati e nuovamente liberati non ha contribuito a ridurre il fenomeno ma, piuttosto, costituisce un alibi per nuovi abbandoni, nella convinzione – errata – che gli animali abbandonati sopravviveranno comunque.
Viceversa la loro presenza nell’ambiente non urbano, siano cani o gatti, costituisce uno squilibrio nei confronti di specie più deboli, predate senza i limiti che si impone l’animale selvatico. Sono un rischio per la pubblica incolumità, con incidenti e aggressioni contro le quali nulla può la sterilizzazione, ed infine rappresentano una concreta minaccia alla salute, come testimoniano i 9 casi di rabbia felina certificati recentemente, nell’impossibilità pratica di fornire loro adeguata copertura vaccinale.
Per il Sivelp il cane deve essere esclusivamente di proprietà, senza soluzioni intermedie come animali di quartiere o di condominio. Occorre cioè un riferimento pronto e preciso che conduca ad un responsabile ben identificato.
Se viceversa continueremo ad ignorare i bisogni delle altre specie, per non parlare dell’uomo, in nome unicamente dei più simpatici tra i domestici, potremmo piangere danni incommensurabili alla fauna. Per non parlare dei rischi di ordine sanitario, degli incidenti e delle aggressioni. Non è inoltre ipotizzabile che l’adozione di cani e gatti, anziché rappresentare un’eccezione, diventi la regola. I problemi legati alla socializzazione di questi animali, le loro esperienze passate, spesso sconosciute da chi se li prende in carico, consentono un’adozione responsabile solamente ad un numero ristretto di persone, ben motivate e disposte ad investire tempo nel recupero e nell’educazione.
Ovviamente questo non dipende da fattori di razza o di moda, ma da precisi percorsi psicologici presenti nei trascorsi dell’animale, come un periodo sufficiente di contatto con i genitori, o un imprinting positivo, che non sempre si trovano nel randagio.
Insomma, se vogliamo un Paese dove si possa viaggiare, trascorrere le vacanze, o semplicemente muoversi con disinvoltura con i nostri amici 4zampe, dobbiamo immaginare padroni educati ed animali educati e tanto i primi, quanto i secondi devono trovarsi nelle migliori condizioni per diventarlo. Ed il randagismo rende il tutto "in salita"».