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«Il boom è finito, la Cina annega nei debiti»: cosa succede davvero a Pechino

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Francesco Bertolino
Eccezion fatta per il 2020 pandemico, la Cina è cresciuta a un tasso superiore al 5% per 30 anni, assurgendo al rango di superpotenza. D’ora in poi, secondo diversi economisti, Pechino farà più fatica a mantenere il ritmo. Negli ultimi giorni cinque grandi banche internazionali hanno tagliato le previsioni di aumento del Prodotto interno lordo cinese nel 2023 al di sotto dell’obiettivo del 5% fissato dal presidente Xi Jinping. Un numero crescente di esperti ritiene che non si tratti di una frenata episodica ma del primo segnale di una svolta epocale. Secondo il Wall Street Journal, «il boom economico cinese è finito» e il Paese «sta annegando nel debito» contratto da imprese, governo centrale e amministrazioni locali, il cui ammontare supera il 300% del Pil.

La bolla immobiliare

Lo scoppio della bolla immobiliare rappresenta certo un’avvisaglia preoccupante. Evergrande, Country Garden e altri costruttori stanno collassando sotto il peso dei centinaia di miliardi di debiti accumulati negli anni del grande sviluppo urbano. Oggi, però, la domanda di abitazioni è crollata: le famiglie cinesi hanno meno figli, meno reddito disponibile e soprattutto meno fiducia nell’avvenire. Il settore immobiliare vale oltre un quarto dell’economia e gli investitori temono che la sua crisi possa trascinare a fondo l’economia e la finanza cinesi. I debiti di Evergrande & co «non comportano un rischio sistemico» per le banche, puntualizza Stefano Chao, general manager di Azimut in Cina. «Gli sviluppatori hanno finanziato gli acquisti di terreni soprattutto attraverso la cosiddetta finanza ombra di fondi fiduciari e prodotti di risparmio». Non esiste insomma il pericolo di una «Lehman» asiatica perché il legame fra banche e gruppi immobiliari non è così stretto.

Il calo demografico

Ciò non significa che il Dragone sia privo di punti di debolezza. La spinta demografica alla crescita si è infatti esaurita: l’anno scorso la popolazione cinese è scesa per la prima volta in 60 anni. La disoccupazione giovanile ha toccato livelli record, un dato che non depone a favore di un prossimo aumento della fertilità né di una ripresa degli acquisti di case. Le esportazioni sono in calo a causa delle tensioni geopolitiche con gli Stati Uniti e l’Europa. I consumi privati rappresentano soltanto il 38% dell’economia cinese che è ancora in larga parte in mano allo Stato.

Le decisioni di Xi

Ed è proprio dalle autorità che gli investitori si attendono decisioni forti per invertire la tendenza discendente. «Il governo ha iniziato ad adottare misure per aiutare i gruppi immobiliari rimuovendo alcuni limiti agli acquisti di case (fra i più severi al mondo) e alla concessione di mutui», prosegue Chao di Azimut. «Ha anche consentito ai costruttori di accedere al credito delle banche commerciali, canale sinora molto ristretto». Nel comunicato finale della riunione del Politburo di luglio, del resto, non era stato citato il mantra di Xi – «la casa è per abitare, non per speculare» – un’omissione letta come un indizio di un prossimo soccorso al settore immobiliare. Ieri, infine, la banca centrale cinese ha abbassato i tassi d’interesse dello 0,1%.

Lo scetticismo degli esperti

A detta di molti analisti, però, tanto non basterà a far ripartire il credito e il mercato immobiliare, scongiurando uno «sboom» della Cina. Servirebbe un corposo stimolo fiscale sulla falsariga dei piani adottati negli Stati Uniti e in Europa. Xi non sembra voler esaudire la richiesta: un portavoce del ministro degli Esteri di Pechino ha definito «eccessivi» gli allarmi di politici e media occidentali sull’economia cinese. «I fatti», ha concluso, «dimostreranno che si sbagliano», come già accaduto nelle precedenti crisi. Per ora, però, le Borse hanno dato retta alla versione occidentale. Ieri i listini cinesi hanno chiuso tutti con una perdita superiore all’1%. 31/08/2023

Fonte Link: corriere.it

 

 
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